martedì 3 gennaio 2017

Sulle valutazioni delle università italiane.

A cura di Alberto Di Mulo

Le università italiane, rivestono un ruolo fondamentale nella “nascita, crescita e vita” di ogni persona, in quanto per la maggior parte dei casi sono vissute a cavallo di una fase di vita che sicuramente è quella a maggiore assorbimento celebrale, quindi danneggiarne questi anni attraverso la scelta di una graduatoria di ateneo con parametri non significativi determinerebbe danni irreversibili nella vita di ciascuna persona nei due estremi, aspettative di vita in uno e inadeguatezza nell'altro.
In merito all'ultima valutazione riportata da quotidiani [1] e non solo, ci troviamo di fronte a classifiche tra nord e sud che effettivamente lasciano riflettere.
Da un lato ci sono le università statali che ricevono finanziamenti che probabilmente sono più indirizzati alla ricerca che al miglioramento dell'offerta formativa didattica e servizi, dall'altro le università private che ricevono meno finanziamenti dal pubblico con un gap di risorse, che almeno in teoria, dovrebbe essere colmato dai privati, che contribuendo a potenziare gli standard qualitativi compartecipano e in qualche caso finanziano totalmente la propria ricerca e meno la didattica.
Il processo manageriale che si genera, vede coinvolti diversi attori con obiettivi dettati da indirizzi globali, ma che di fatto, tra gli obiettivi vede sicuramente l'incremento di fatturato realizzato utilizzando fondi pubblici-privati disponibili/investiti, la cui localizzazione di tali risorse, allocate in aziende e multinazionali, sono più al nord rispetto al sud;
In questo contesto transitorio, le tecnologie e l'automatizzazione delle procedure stanno producendo tanta confusione in termini di lavoro effettivamente da svolgere, oltre a duplicazioni di uffici,enti,ecc, arrivando giustamente a definire gran parte dei lavoratori pubblici/privati ammortizzatori sociali senza nessun diritto e dovere.
La problematica governativa interconnessa da risolvere, è il ridefinire il concetto di lavoro e soprattutto trovarne l'equo compenso reale in un ottica di lungo periodo funzione di opportunità e formazione e non dei parametri considerati per le valutazioni di ateneo che attualmente si basano su ambiti funzione dell'attività didattica, solidità della struttura dei docenti, produzione scientifica, capacità di garantire puntualità negli studi ed esperienze lavorative durante il corso di laurea oltre al post laurea che risulta di carattere puramente soggettivo.
Le critiche/valorizzazioni e le misure su cui si ritiene dover applicare degli indicatori universitari dovrebbero essere orientati alla separazione della didattica dalla ricerca, e del management ridando valore principale e autorevolezza alla guida su base tecnico-scientifica, individuando e definendo i parametri del concetto di “chiara fama” nei ruoli di controllo ed indirizzo.
L'università, che in quanto tale dovrebbe rappresentare parte dello Stato in quanto legittimata da esso, con la responsabilità di formarsi i propri collaboratori garantendoli nel rispetto della odierna costituzione, ed il suo compito è proprio quello di promuoverne le condizioni lavorative in un'ottica sistemica e di evoluzione dell'innovazione, della tecnologia e dei bisogni di profili dettati dal mercato, e delle variabili di carattere etico e sociale, che tendenzialmente ne livellano le professionalità oltre che le retribuzioni suddividendo le responsabilità a più livelli e soggetti.
Pertanto, in base a ciò, si ritengono a parere dello scrivente, irrilevanti le valutazioni espresse sulle università italiane che dovrebbero basarsi su elementi economici reali macro-territoriali, in una concertazione ponderata con i governi a scale differenti, la cui distribuzione di fondi obiettivamente avviene con grande sperequazione nazionale facendo riferimento a indicatori che non dovrebbero, nemmeno alla lontana, costituirne orientamento di scelta didattica.

Sitografia (es di problematica riscontrata nel web, posta in sede pubblica a mezzo stampa ufficiale)




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